+39 049 / 20.50.454
MENU

Chiunque abbia un cane lo sa: non è solo un animale da compagnia, è parte della famiglia. Gioca con i bambini, fa compagnia agli anziani, ci regala affetto incondizionato. Tuttavia, avere un cane comporta anche responsabilità precise e non trascurabili, che il proprietario ha il dovere di conoscere.

Il padrone risponde sempre (o quasi)

L’art. 2052 del Codice Civile stabilisce una responsabilità oggettiva in capo al proprietario dell’animale: egli è tenuto al risarcimento dei danni anche se l’evento dannoso si è verificato in modo imprevedibile o se l’animale è sfuggito temporaneamente al controllo.

La giurisprudenza ha ribadito più volte che la sola presenza del cane in un contesto pubblico comporta l’obbligo di vigilanza continua, con particolare attenzione all’utilizzo del guinzaglio e, ove necessario, della museruola, strumenti considerati fondamentali per la corretta custodia dell’animale.

Cosa succede in caso di danni?

Gli esempi sono numerosi:

  • un cane che corre libero in un parco e fa cadere un ciclista;
  • un animale che, spaventato, attraversa la strada e provoca un incidente;
  • un morso, anche lieve, dato “per gioco” ma che genera lesioni.

In tutti questi casi, il proprietario può essere chiamato a risarcire i danni materiali e morali provocati, con potenziali conseguenze sia civili che penali.

Il valore di una copertura assicurativa

In uno scenario in cui la responsabilità è oggettiva, una polizza assicurativa per la responsabilità civile del cane rappresenta una tutela fondamentale. Esistono diverse soluzioni assicurative che, con costi contenuti, offrono copertura per i danni causati a terzi da animali domestici.

Una polizza può:

  • coprire le spese per danni a persone o cose;
  • assistere il proprietario in caso di controversie legali;
  • evitare che un evento imprevisto si trasformi in un onere economico rilevante.

Il nostro consiglio legale

Nel nostro studio ci capita spesso di assistere clienti coinvolti in controversie legate ad animali domestici. Per questo, consigliamo non solo il rispetto rigoroso delle normative, ma anche la valutazione di una copertura assicurativa, in grado di offrire una rete di protezione in caso di imprevisti.

📌 Introduzione

L’investimento di un pedone sulle strisce pedonali è uno dei casi più frequenti e delicati in tema di incidenti stradali. La legge, supportata da una solida giurisprudenza, stabilisce le regole chiare per la determinazione delle responsabilità e per il risarcimento del danno. Vediamo in dettaglio i riferimenti normativi e come vengono applicati dalla giurisprudenza.


🚦 Obblighi del Conducente: l’Art. 191 del Codice della Strada

L’articolo 191 del Codice della Strada (D.Lgs. 285/1992) dispone che:

Comma 1: “Quando i pedoni transitano sugli attraversamenti pedonali i conducenti devono fermarsi per consentire loro il passaggio.”

Comma 2: “I conducenti devono altresì rallentare e, se necessario, fermarsi quando si trovano nelle vicinanze delle strisce pedonali, anche se il pedone non ha ancora iniziato l’attraversamento, ma manifesta chiaramente l’intenzione di farlo.”

👉 Questo significa che il conducente ha un preciso dovere di cautela ogni volta che si avvicina a un attraversamento pedonale.


⚖️ Presunzione di Colpa del Conducente

La presunzione di responsabilità dell’automobilista trova fondamento anche nell’art. 2054, comma 1, del Codice Civile, che stabilisce:

“Il conducente di un veicolo è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o cose, se non prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno.”

In caso di incidente con un pedone sulle strisce, spetta dunque al conducente dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie per evitare l’impatto.


⚖️ Giurisprudenza: Casi e Sentenze Rilevanti

🧾 Cass. Civ., Sez. III, Sent. n. 18163/2019

La Corte di Cassazione ha affermato che:

“Il conducente deve prevedere la possibilità dell’attraversamento pedonale e adeguare di conseguenza la condotta di guida, anche in presenza di una scarsa visibilità o condizioni meteorologiche avverse.”

🧾 Cass. Civ., Sez. III, Sent. n. 22261/2018

In questo caso, la Suprema Corte ha sottolineato che:

“Il pedone non è esente da responsabilità: deve accertarsi che il transito possa avvenire in condizioni di sicurezza, altrimenti può configurarsi un concorso di colpa.”


🚶‍♂️ Concorso di Colpa del Pedone: Quando si Verifica?

Secondo l’art. 1227 c.c., il risarcimento può essere ridotto se il comportamento della vittima ha contribuito al danno.

Esempi di concorso di colpa del pedone:

  • Attraversamento fuori dalle strisce;

  • Attraversamento col semaforo rosso;

  • Uso del cellulare o distrazione evidente;

  • Attraversamento improvviso o in condizioni di scarsa visibilità.

📌 Il giudice valuta caso per caso, ma è fondamentale ricordare che sulle strisce il pedone gode di una protezione privilegiata.


💰 Risarcimento del Danno

Quando viene accertata la responsabilità (anche parziale) del conducente, la vittima ha diritto al risarcimento dei seguenti danni:

Tipologie di danno risarcibile:

  • Danno biologico: lesioni temporanee o permanenti;

  • Danno morale: sofferenza psichica e fisica;

  • Danno patrimoniale: spese mediche, perdita del reddito, danni a beni personali;

  • Danno da perdita del rapporto parentale (in caso di decesso): spettante ai familiari.


🔍 Prova della Dinamica dell’Incidente

La responsabilità va provata attraverso una serie di elementi:

  • Testimonianze;

  • Rilievi della polizia locale;

  • Filmati di videosorveglianza;

  • Perizie cinematiche e medico-legali.

In assenza di prove contrarie, prevale la presunzione di colpa del conducente.


✅ Conclusioni

L’investimento di un pedone sulle strisce pedonali viene trattato con estrema severità dalla giurisprudenza italiana, con un orientamento favorevole alla tutela della parte più debole, ossia il pedone.

Tuttavia, anche il comportamento del pedone viene valutato, e può incidere sulla ripartizione delle responsabilità.


📚 Riferimenti Normativi e Giurisprudenziali

  • Codice della Strada, art. 191

  • Codice Civile, art. 2054 e 1227

  • Cass. Civ. n. 18163/2019

  • Cass. Civ. n. 22261/2018

  • Cass. Civ. n. 23057/2012 (sul principio di prevedibilità del comportamento del pedone)

  • Cass. Civ. n. 2053/2006 (sull’obbligo del conducente di moderare la velocità)

Il nuovo Codice della Strada 2024, approvato di recente, introduce diverse modifiche per aumentare la sicurezza stradale e inasprire le sanzioni per le violazioni più comuni. Ecco le principali novità:

1. Guida in stato di ebrezza o sotto stupefacenti: Le sanzioni variano a seconda del tasso alcolemico. Per livelli superiori a 1,5 g/l si rischia fino a 1 anno di arresto, multe fino a 6.000 euro e sospensione della patente fino a 2 anni. I recidivi devono installare l’“alcolock”, che impedisce l’accensione del motore se il tasso alcolemico non è zero. Per chi guida sotto l’effetto di droghe, le sanzioni possono portare al divieto di conseguire la patente per 3 anni.

2. Uso del cellulare alla guida: Sanzioni più severe con multe da 250 a 1.000 euro per la prima infrazione, sospensione della patente e decurtazione punti. In caso di recidiva, le multe arrivano fino a 2.588 euro.

3. Regole per neopatentati: Il periodo in cui non possono guidare auto potenti è esteso da 1 a 3 anni, con limiti di potenza aumentati a 75 kW/t o 105 kW totali. I minorenni colti a guidare sotto l’effetto di alcol o droghe dovranno aspettare i 24 anni per ottenere la patente.

4. Monopattini e biciclette: Obbligo di targa, assicurazione e casco per i monopattini elettrici. Devono circolare solo su strade urbane con limite di velocità inferiore a 50 km/h. Per le biciclette elettriche, il limite di velocità è di 30 km/h, e bisogna mantenere almeno 1,5 metri di distanza durante i sorpassi.

5. Autovelox: I dispositivi devono essere omologati e utilizzati solo in aree ad alta incidentalità. Non possono essere installati su strade con limiti di velocità inferiori ai 50 km/h in città o 90 km/h fuori città.

6. Sanzioni per abbandono di animali: Se l’abbandono causa incidenti, le pene arrivano fino a 7 anni di carcere e sospensione della patente da 6 mesi a un anno.

Queste novità puntano a promuovere un maggiore rispetto delle regole e a ridurre gli incidenti. Il Codice entrerà in vigore ufficialmente nelle prossime settimane, dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

La questione della responsabilità della Regione per i danni causati da animali selvatici è stata oggetto di numerose pronunce giurisprudenziali. L’orientamento consolidato attribuisce alla Regione la responsabilità diretta in quanto ente titolare della proprietà pubblica della fauna selvatica, come stabilito dalla normativa nazionale e regionale.

Principi generali

1.Fauna selvatica come patrimonio indisponibile dello Stato:

L’art. 1 della Legge n. 157/1992 stabilisce che la fauna selvatica rientra nel patrimonio indisponibile dello Stato, ma la sua gestione è delegata alle Regioni, che assumono un ruolo di responsabilità per la tutela, gestione e controllo della fauna.

2.Responsabilità ex art. 2052 c.c.:

La giurisprudenza ha assimilato la Regione al “custode” degli animali selvatici, ritenendo che essa debba rispondere dei danni causati da tali animali in quanto proprietaria e gestore della fauna.

•Non è necessario dimostrare una colpa specifica della Regione; è sufficiente provare il nesso causale tra l’animale e il danno.

3.Responsabilità ex art. 2043 c.c. (in via subordinata):

Se non si applica il regime di responsabilità oggettiva, la Regione può essere ritenuta responsabile per omissione colposa, laddove non abbia adottato adeguate misure di prevenzione.

Giurisprudenza rilevante

1.Cass. Civ., Sez. III, 22 maggio 2014, n. 11473

La Corte ha stabilito che le Regioni sono responsabili per i danni causati dalla fauna selvatica in quanto enti titolari della gestione e tutela degli animali selvatici. L’art. 2052 c.c. si applica estensivamente, considerando la Regione come “custode” della fauna.

2.Cass. Civ., Sez. III, 27 aprile 2010, n. 9966

Viene ribadito che la Regione, quale soggetto proprietario e gestore della fauna selvatica, risponde in modo oggettivo dei danni causati dagli animali selvatici. Anche in caso di delega ad altri enti (es. Province), la responsabilità ultima rimane della Regione.

3.Cass. Civ., Sez. III, 15 marzo 2016, n. 5065

La Corte ha escluso la possibilità per la Regione di sottrarsi alla responsabilità per danni da fauna selvatica, anche qualora il danno derivi da eventi imprevedibili. Si ribadisce il principio della responsabilità oggettiva legata alla “custodia”.

4.Cass. Civ., Sez. VI, 26 luglio 2022, n. 23442

È stata confermata la responsabilità della Regione per i danni cagionati dalla fauna selvatica anche in presenza di delega alle Province. La Regione mantiene una posizione di vigilanza e controllo che la rende custode degli animali selvatici.

5.Consiglio di Stato, Sez. IV, 29 maggio 2018, n. 3212

In tema di danni agricoli causati dalla fauna selvatica, il Consiglio di Stato ha chiarito che la Regione è tenuta a predisporre piani di gestione e prevenzione. La mancata adozione di tali misure può configurare una responsabilità per colpa ex art. 2043 c.c.

Conclusioni

La Regione è responsabile per i danni causati da animali selvatici, sia in via oggettiva (ex art. 2052 c.c.) sia per colpa (ex art. 2043 c.c.), indipendentemente da eventuali deleghe di gestione ad altri enti (come Province o enti parco). Questa responsabilità deriva dal suo ruolo di ente proprietario e custode della fauna selvatica, che deve adottare misure preventive e risarcire i danni causati dagli animali, salvo prova del caso fortuito.

La Cassazione torna ad occuparsi dei danni provocati dalla fauna selvatica chiarendo che il soggetto legittimato passivo, a cui quindi il danneggiato deve rivolgere la propria richiesta di risarcimento è la Regione, “in quanto ente al quale spetta in materia la funzione normativa, nonchè le funzioni amministrative di programmazione, coordinamento, controllo delle attività eventualmente svolte da altri enti” e, in sostanza, in quanto “utilizzatore” in senso pubblicistico del patrimonio faunistico.

La Corte di legittimità si discosta dall’orientamento precedentemente consolidatosi, secondo cui l’ente rispondeva dei danni ai sensi dell’art. 2043 c.c., con un vero e proprio revirement, chiarendo che “va applicato il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c.”, ciò con tutte le conseguenze in materia di onere della prova.

In sintesi, il danneggiato dovrà dare prova del danno e del nesso causale tra la condotta dell’animale selvatico e il danno stesso, mentre alla Regione spetterà eventualmente fornire la prova liberatoria, dimostrando l’imprevedibilità ed inevitabilità della condotta dell’animale.

Infine, in caso di delega di funzioni di gestione e tutela della fauna selvatica protetta ad altri enti, sarà la Regione a rivalersi nei confronti di questi ultimi.

Si riporta il testo integrale della sentenza (già richiamata da altre due recentissime pronunce:  Cass. Civ. Sez. III sent. n. 8384 e 8385 del 29 aprile 2020, e Cass. civ. Sez. III, sent. n. 12113 del 22 giugno 2020), che fornisce un excursus dei precedenti orientamenti e motiva approfonditamente l’applicabilità dell’art. 2052 c.c. alla fattispecie in questione.

 

 

 

Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 10/01/2020) 20-04-2020, n. 7969 (altro…)

Che lo si chiami rapporto, prontuario o verbale, è quel fascicolo che riunisce tutti gli elementi: fotografie, rilievi planimetrici, testimonianze, dichiarazioni rilasciate dalle parti coinvolte, ecc., che riguardano un incidente stradale.

Viene redatto dalle Autorità (Polizia Locale, Carabinieri, Polizia Stradale…) intervenute a seguito di un sinistro, in particolare quando vi siano feriti o comunque quando i coinvolti siano in disaccordo circa la dinamica e le responsabilità dell’accaduto, e non sia quindi sufficiente invitare i conducenti a compilare la “constatazione amichevole”.

Recentemente la Cassazione è intervenuta a fare chiarezza sul valore del rapporto d’incidente e delle sue componenti, da un lato ribadendo il consolidato principio secondo cui, essendo un atto pubblico, il verbale fa piena prova, fino a querela di falso, dei fatti avvenuti alla presenza del Pubblico Ufficiale, dall’altro pronunciandosi sull’efficacia probatoria della ricostruzione operata dai verbalizzanti.

Mentre, infatti, hanno fede privilegiata elementi quali la posizione dei veicoli e i danni dagli stessi riportati descritti dagli Agenti, nonché le dichiarazioni rilasciate dalle parti e dai testimoni, qual è il valore della ricostruzione dei fatti cui il Pubblico Ufficiale non ha direttamente assistito? Secondo la Suprema Corte, tale ricostruzione “costituisce valutazione cui non può estendersi l’efficacia probatoria di cui sopra e che va valutata secondo ordinari criteri di deduzione”.

Ciò non significa che la decisione del Giudice non possa ricalcare la stessa descrizione dell’evento riportata nel verbale all’esito degli accertamenti svolti dagli Agenti, cosa che avverrà in particolare quando questa sia “sorretta da elementi logici coerenti”.

Nel caso affrontato dalla sentenza che di seguito si riporta: “il Tribunale ha posto a fondamento della sua decisione una propria ricostruzione del sinistro, seppure coincidente con la ricostruzione effettuata dai verbalizzanti e dopo aver valutato, secondo il suo prudente apprezzamento, le dichiarazioni dei due soggetti direttamente coinvolti nel sinistro, la dichiarazione di una testimone imparziale, la posizione dei veicoli post urto, così come acquisiti dai pubblici ufficiali successivamente intervenuti in loco, oltre che gli ulteriori dati “tecnici” riportati nel verbale stesso”.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4554-2018 proposto da:

L.B.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati CORRIDORI LORENZO, VIGNOLA ALESSANDRO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 784/2017 del TRIBUNALE di SAVONA, depositata il 23/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/12/2018 dal Consigliere Dott. SCALISI ANTONINO.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

L.B.C., con ricorso del 15 gennaio 2014 conveniva in giudizio la Prefettura di Savona proponeva impugnazione avverso la sentenza n. 196/13 del Giudice di Pace di Albenga, con cui detto giudice, rigettando il ricorso proposto dal medesimo ricorrente in primo grado, convalidava il verbale di contestazione (OMISSIS) del 21 luglio 2011 della Polizia Stradale di Savona, con il quale era stata contestata la violazione degli artt. 146 e 148 C.d.S., per avere effettuato manovra di sorpasso veicoli fermi in colonna e in prossimità di curva incorrendo in incidente stradale con lesione a terzi. Con tale pronuncia il Giudice di Pace aveva fondato il rigetto del ricorso sostanzialmente affermando la maggiore solidità della ricostruzione operata dagli Agenti accertatori in quanto in parte sorretta da fede privilegiata quanto ai fatti accertati direttamente e in parte rafforzata da testimonianza raccolta nell’immediatezza dei fatti laddove la diversa ricostruzione offerta dal ricorrente sarebbe stata fondata unicamente su testimonianza resa al difensore in epoca successiva.

Lamentava l’appellante – nella sostanza riproponendo i motivi già posti a fondamento del ricorso in primo grado, salvo aggiungervi le censure circa il difetto di motivazione – che la sentenza di primo grado avesse violato i principi in tema di motivazione, non tenendo conto delle risultanze e degli elementi di prova offerti.

Con comparsa di risposta, si costituiva l’Amministrazione convenuta chiedendo il rigetto dell’impugnazione.

Il Tribunale di Savona con sentenza n. 784 del 2017 rigettava l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese di lite. Secondo il tribunale di Savona la sentenza impugnata andava confermata posto che era esaustivamente motivata sia con riguardo alla distribuzione dell’onere della prova sia per quanto attiene alla ricostruzione del fatto.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da L.B.C. con ricorso affidato ad un motivo. Il Ministero dell’interno in questa fase non ha svolto attività giudiziale.

Con l’unico motivo di ricorso L.B. lamenta la violazione falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2700 c.c.e della L. n. 689 del 1981,artt. 21, 22, 22-bis e 23, nonchè omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio e nullità della sentenza e del procedimento in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5.

In particolare il ricorrente lamenta che il Tribunale abbia assegnato fede privilegiata al verbale redatto dal Pubblico Ufficiale dopo il sinistro non tenendo conto che il verbale ha fede privilegiato solo le dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti. E di più il Tribunale non avrebbe tenuto conto che dalla relazione del sinistro si evince come i segni della caduta siano presenti nella corsia del L.B. il quale, quindi, non poteva essere in fase di sorpasso nella corsia opposta. Tanto più è evidente che nessun mezzo abbia impedito lo scarrocciamento del mezzo dell’odierno appellante il cui solco sull’asfalto, particolarmente evidente, si protrae per alcuni metri dal punto dell’impatto al margine destro della corsia (lato monte) prova che non vi fosse alcuna colonna di macchine da superare.

Su proposta del relatore, il quale riteneva il ricorso infondato, con la conseguente definibilità nelle forme dell’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1), il Presidente ha fissato l’adunanza della Camera di Consiglio.

Rileva il collegio che il ricorso è infondato e in tal senso trovando conferma la proposta già formulata dal relatore, ai sensi del citato art. 380-bis c.p.c..

Infondato è l’unico motivo del ricorso. E’ principio consolidato (vedi Cass., n. 226629 del 2008, n. 9251 del 2010, n. 3787 del 2012) quello per cui l’atto pubblico (e, dunque, anche il rapporto della polizia municipale) fa piena prova, fino a querela di falso, solo delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti come avvenuti in sua presenza, mentre, per quanto riguarda le altre circostanze di fatto che egli segnali di avere accertato nel corso dell’indagine, per averle apprese da terzi o in seguito ad altri accertamenti, si tratta di materiale probatorio liberamente valutabile e apprezzabile dal giudice, unitamente alle altre risultanze istruttorie raccolte o richieste dalle parti. Ora, il giudice di appello, proprio affermando che la ricostruzione del sinistro operato dai verbalizzanti intervenuti in loco successivamente era non solo convincente ma anche coerente con i dati oggettivi rilevati dagli stessi in loco non ha fatto mal governo della norma dettata dall’art. 2700 c.c..Piuttosto, tenuto conto dei principi, appena indicati, il Tribunale ha avuto cura di specificare di far propria la ricostruzione del sinistro operata dagli operatori perchè sorretta da elementi logici coerenti e per quanto l’appellante non forniva una ricostruzione di valore logico altrettanto coerente. Sicchè è del tutto evidente che il Tribunale ha posto a fondamento della sua decisione una propria ricostruzione del sinistro, seppure coincidente con la ricostruzione effettuata dai verbalizzanti e dopo aver valutato, secondo il suo prudente apprezzamento, le dichiarazioni dei due soggetti direttamente coinvolti nel sinistro, la dichiarazione di una testimone imparziale, la posizione dei veicoli post urto, così come acquisiti dai pubblici ufficiali successivamente intervenuti in loco, oltre che gli ulteriori dati “tecnici” riportati nel verbale stesso. Come afferma la sentenza impugnata “(….) Nel caso di specie gli Agenti di Polizia nella propria Annotazione, danno atto: della posizione dei veicoli post urto; dei danni riportati dai veicoli stessi; delle dichiarazioni dei due soggetti direttamente coinvolti nel sinistro e della dichiarazione di una testimone imparziale;

tutti fatti oggettivi, da ritenersi corrispondenti a quanto effettivamente appreso dai verbalizzanti fino a querela di falso. Vi è poi la parte di “ricostruzione del sinistro” che costituisce valutazione cui non può estendersi l’efficacia probatoria di cui sopra e che va valutata secondo ordinari criteri di deduzione. Poichè la ricostruzione degli operanti è sorretta da elementi logici coerenti parte appellante avrebbe dovuto fornire una ricostruzione di valore logico decisamente prevalente, il che non è stato perchè l’elemento di sostegno alla ricostruzione alternativa (testimonianza di un conoscente del ricorrente) è stato congruamente e insindacabilmente in questa sede ritenuto meno solido dell’elemento estraneo che sostiene la ricostruzione degli Operanti (testimonianza di persona certamente presente ai fatti, sentita nell’immediatezza, senza alcun legame con una delle parti) (…..)”.

Ciò posto, cadono anche le ulteriori considerazioni del ricorrente posto che esse impingono in una ricostruzione della fattispecie che viene operata secondo l’apprezzamento della stessa parte ricorrente, cosi da surrogarsi (inammissibilmente) al potere di accertamento del fatto riservato al giudice del merito. In definitiva, il ricorso va rigettato. Non occorre provvedere alla liquidazione delle spese del presente giudizio considerato che il Ministro dell’Interno è rimasto intimato. Il Collegio dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile – Seconda di questa Corte di Cassazione, il 12 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2019


Conformi:
Cass. civ. sez. II, 9 marzo 2012, n. 3787

Cass. civ. sez. lav., 19 aprile 2010, n. 9251

Ormai sempre più numerose sono le famiglie che portano i propri bimbi a giocare al parco giochi. Tale luogo, infatti, soprattutto per chi vive in appartamento, è diventato punto di incontro genitori-figli, che passano interi pomeriggi insieme. Ma se al parco giochi accadesse un incidente e rimanesse infortunato un bambino o il genitore, chi deve risarcire i danni subiti?

La tematica in questione è stata affrontata più volte dalla Cassazione, la quale chiarisce che è il comune a dover risarcire i danni e che, per andare esente da responsabilità, non è sufficiente che provi le buone condizioni di manutenzione delle strutture e l’uso improprio di esse, ma è necessario altresì che dimostri che l’utilizzazione in concreto è assolutamente inusuale sia da parte dei minori e delle persone adulte e quindi imprevedibile.

Utile per comprendere meglio quando il Comune può essere considerato responsabile, è la sentenza n. 18167/2014, con cui la Corte di Cassazione ha affrontato e chiarito la sussistenza o meno della responsabilità civile ex art. 2051 c.c. in capo all’Ente Comunale, in conseguenza di danni riportati dai bambini all’interno di un parco giochi. Gli Ermellini, affrontando il caso di un bimbo che riportava gravi danni fisici a causa della caduta da un cavallo a dondolo situato all’interno dei giardini comunali, ha posto l’attenzione su due aspetti di particolare importanza: la possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere, con l’ordinaria diligenza, una situazione di possibile pericolo nell’utilizzo del bene, che richiede nell’utente un maggior grado di attenzione, e il sempre necessario dovere di cautela da parte del soggetto che entra in contatto con la cosa. Tali elementi, unitamente al fatto che il bene risulti in perfette condizioni di manutenzione ed adeguato agli standard dei manufatti del genere a cui appartiene, ovvero che lo stesso non presenti al momento del sinistro difetti in grado di determinare pericoli anche in presenza di un utilizzo assolutamente corretto, valgono ad escludere la responsabilità del Comune ai sensi dell’art. 2051 c.c.

Dopo aver specificato a quali condizioni il Comune possa rimanere salvo da responsabilità, si riportano alcuni esempi pratici affrontati dalla Suprema Corte, ove invece l’Ente è stato ritenuto responsabile e conseguentemente tenuto al risarcimento.

1° caso: una madre chiedeva di essere risarcita dal Comune poiché, mentre aiutava il figlio a scendere dallo scivolo nella villa comunale, a causa della mancanza di una vite di fissaggio, rimaneva impigliata con il quarto dito della mano sinistra nella lamiera e, a causa delle gravi lesioni riportate, perdeva il dito. Il Tribunale di primo grado aveva accordato alla signora un risarcimento di quasi 14mila euro, ma tale somma le era stata negata dalla Corte d’Appello competente che aveva escluso la responsabilità del Comune, ritenendo che l’incidente fosse «fortuito». Contro questa decisione, però, la signora ricorreva con successo in Cassazione.

La Suprema Corte, accogliendo il ricorso della signora, rinviava il caso alla Corte d’Appello, sollecitando i giudici a ricordare che in base all’art. 2051 c.c. «il custode per escludere la responsabilità da cosa in custodia ha l’onere di provare che l’evento è stato cagionato da fatto estraneo ad essa, che può dipendere anche dalla condotta colpevole di un terzo o della stessa vittima». Detto questo i giudici hanno ricordato che il comune, in caso di incidenti nel parco pubblico, non dovrà soltanto dimostrare l’utilizzo «improprio» del gioco, ma, per andare esente da responsabilità, dovrà anche «dimostrare che tale utilizzazione era assolutamente imprevedibile». (Si veda Cass. civ. Sez. III, sent. 22-09-2009, n. 20415)

2° caso: i genitori di un bambino che era caduto dallo scivolo di un parco comunale e aveva riportato la frattura dell’omero, si erano visti negare il risarcimento, ma la Corte, con l’ordinanza n. 7578/2020, ha accolto il loro ricorso, ribaltando le decisioni di Tribunale e Corte d’Appello, e chiarendo che non è necessario dimostrare l’insidiosità dello scivolo; il Comune, per rimanere esente da responsabilità, avrebbe dovuto provare che la caduta, e il conseguente danno che ne è derivato, sarebbero stati evitabili dal bambino che avesse usato l’ordinaria diligenza.

La Corte di Cassazione con ordinanza del 18.02.2020 n. 4004, che si riporta di seguito, ha ribadito che i danni causati dagli animali selvatici non sono risarcibili dalla P.A. ex art. 2052 c.c., in quanto tale articolo sottende un obbligo di custodia che non può essere posto a carico dell’Ente, essendo un simile obbligo incompatibile con lo stato di libertà degli animali selvatici; ma, i suddetti danni rientrerebbero in quelli risarcibili ex art. 2043 c.c. e, quindi, sulla base del generale principio del neminem laedere.

Conseguentemente, non trovando spazio la presunzione di responsabilità di cui all’art. 2052 c.c., incombe sul danneggiato l’onere di provare la condotta colposa della P.A., che può discendere dalla violazione dell’obbligo di predisporre lungo la rete viaria la segnaletica di pericolo, ovvero dei dispositivi idonei a scoraggiare o a impedire l’attraversamento della strada alla fauna selvatica.

Quindi, in tema di danni causati da animali selvatici, la responsabilità della P.A. non può che essere ricondotta alla violazione di specifiche norme che impongono ad essa di adottare misure preventive a tutela di chi si trovi ad attraversare determinati territori in una situazione di concreto pericolo.

(altro…)

Uno dei casi più delicati e spesso difficili da dimostrare di malpractice medica (malasanità) è ricollegabile alla condotta del medico che omette o ritarda la diagnosi di una patologia, allungando i tempi per l’inizio delle cure e riducendo le chance di sopravvivenza del paziente.

Il danno da perdita di chance, con riferimento alla responsabilità medica, deriva da un comportamento del sanitario idoneo ad incidere sulla durata della vita del paziente o sulla sua qualità.

Solitamente questi errori medici riguardano patologie tumorali che non di rado portano a conseguenze purtroppo infauste, o ad interventi molto più invasivi di quelli che il protocollo medico avrebbe previsto.

IL CASO

In particolare ci siamo occupati di un caso di responsabilità medica per aver omesso e poi conseguentemente ritardato di ben 18 mesi la diagnosi di una neoplasia delle parti molli degli arti inferiori.

La signora A., sportiva agonista, all’autopalpazione, percepiva un piccolo nodulo alla coscia destra; si rivolgeva al medico di medicina generale che le prescriveva una ecografia muscolotendinea.

Tale accertamento metteva in evidenza una formazione di diametro di 45 mm.

Il medico di medicina le consigliava di sottoporsi ad una RMN che confermava la presenza della lesione, definita di origine angiomatosa.

Il mese successivo, eseguiva nuovamente RMN, questa volta con mezzo di contrasto; letto l’esito della risonanza, le veniva consigliata l’asportazione del nodulo.

Da quel momento però, la signora A. si rivolgeva a diversi specialisti della materia che continuavano a definire di natura angiomatosa la massa e che quindi sconsigliavano l’intervento di asportazione per il pericolo di emorragia.

Dato però l’aumento di volume della lesione nelle ultime settimane, la paziente insisteva per l’asportazione della massa, pertanto il medico la inviava presso il reparto di Radiologia interventista per un’eventuale embolizzazione.

La signora A. si trovava quindi ad attendere più di un anno per essere sottoposta ad embolizzazione, senza che poi l’intervento portasse ad una riduzione della massa.

Avendo ormai perso fiducia nei confronti dei medici del policlinico della sua città, che l’avevano seguita fino a quel momento, decideva di rivolgersi ad altra struttura ospedaliera di un importante ospedale del nord Italia ove, nel giro di pochi giorni, le veniva diagnosticato un rabdomiosarcoma.

Veniva ricoverata e sottoposta a diversi cicli di chemioterapia; l’inutile vagare della signora, tra i vari medici dell’ospedale della sua città, l’ha portata ad effettuare accertamenti diagnostici inconcludenti, con la conseguente notevole perdita di tempo prezioso per lei e un progressivo peggioramento della condizione clinica, che hanno infine portato all’inevitabile amputazione dell’arto.

Infatti, il ritardo diagnostico ha comportato un importantissimo aumento della massa che nel giro di 18 mesi è passato da 45 mm a 18 cm.

La signora A. si è rivolta allo studio degli avvocati COR per ottenere il giusto risarcimento per i danni subiti a causa del ritardo diagnostico.

Le difficoltà di soluzione di questo caso sono state molteplici; bisogna infatti tenere ben presente che il tumore non è stata la conseguenza del ritardo diagnostico; il tumore era presente sin dal primo controllo fatto dal medico di base, ma purtroppo lo stesso è rimasto a lungo non diagnosticato.

Il tempo perso (18 mesi) ha portato ad una grave e pesante perdita di chance di sopravvivenza, oltre che a un peggioramento generale delle condizioni di vita e alla perdita di possibilità in ambito lavorativo e sportivo.

Nel caso della signora A., bisogna pensare che, se il rabdomiosarcoma fosse stato diagnosticato all’inizio della sua storia clinica, la massa da asportare sarebbe stata molto ridotta e l’intervento avrebbe inciso diversamente sull’arto operato; l’attesa ha invece trasformato un piccolo nodulo in una massa di ben 18 cm.

Le domande che ci possiamo porre sono molteplici: l’intervento chirurgico per l’asportazione di un nodulo di 45 mm ha le stesse difficoltà e porta con sé le stesse conseguenze dell’asportazione di una massa di 18 cm? Se alla signora A. questo intervento fosse stato fatto immediatamente si sarebbe comunque arrivati all’amputazione della gamba? L’attesa così lunga prima di una vera diagnosi ha tolto anni preziosi di vita alla paziente?

Sicuramente già la diagnosi di una neoplasia cambia la vita e un ritardo diagnostico di questo tipo la sconvolge completamente.

Con l’assistenza degli avvocati COR, dopo una trattativa stragiudiziale con la compagnia assicurativa del policlinico, oltre che con i legali dello stesso, la signora A. ha ottenuto il risarcimento dei danni sofferti come conseguenza della omessa diagnosi della patologia che la affliggeva. Tale risultato è stato ottenuto in via stragiudiziale, alleviando la cliente delle spese, dei rischi, nonchè delle ansie che avrebbe comportato il dover affrontare un processo civile.

(Giudice di pace di Padova, sent. n. 136/2020 depositata il 30 gennaio 2020)

Il caso – Rimasto vittima di un incidente, A. compila la constatazione amichevole insieme al responsabile e si reca in ospedale per gli accertamenti e le cure del caso.

Richiede poi il risarcimento dei danni alla propria Assicurazione, la quale però risponde rigettando la richiesta.

Di fronte alla resistenza della Compagnia, A. è costretto a promuovere una causa al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti.

La causa – Davanti al Giudice di pace, l’assicurazione fonda la propria resistenza su una presunta discrepanza tra quanto riportato nel certificato di pronto soccorso e la dinamica risultante dal modulo CAI (urto tra auto e moto in seguito a omessa precedenza nell’atto di immettersi in una rotatoria).

In particolare, nell’anamnesi/esame obiettivo trascritta all’apertura della cartella del pronto soccorso il fatto viene frettolosamente descritto come una scivolata in moto al fine di evitare un altro veicolo; effettivamente non viene fatta menzione dell’urto, circostanza che probabilmente il personale sanitario non ha ritenuto essenziale riportare in un atto che costituisce certificazione medica e non è certo volto a cristallizzare con esattezza la cinematica dell’incidente che ha portato il paziente a richiedere accertamenti e cure mediche.

La sentenza – Il Giudice di pace ritiene la ricostruzione di A. verosimile, e coerente con le risultanze di causa: “anche con riferimento a quanto contenuto nel modulo di constatazione amichevole d’incidente, la dinamica pare sufficientemente chiara, come chiara pare essere la responsabilità ascrivibile al conducente del veicolo antagonista in merito alla causazione dell’evento”.

Con specifico riguardo al fatto riportato dalla cartella clinica osserva: “di non significativo rilievo devono ritenersi le annotazioni – in apparenza contraddittorie rispetto alla dinamica descritta in atto di citazione – riportate sul certificato del Pronto Soccorso. Con riguardo al tipo di documento in argomento, la descrizione del fatto che ha originato le lesioni del paziente non riveste rilevante importanza e, dunque, l’accuratezza con cui le dichiarazioni degli infortunati vengono riportate non di rado lascia a desiderare. Diversa attendibilità dovrebbe, semmai, attribuirsi ad annotazioni e descrizioni contenute in rapporti di incidente redatti da accertatori di Polizia”.

Così si è pronunciato il Giudice di pace di Padova, Davide Piccinni, condannando la compagnia al risarcimento del danno patito da A. in seguito all’incidente.


Torna su